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COVID-19: CHIARIMENTI SU MASCHERINE E DPI

Mascherine e dispositivi di protezione individuale per proteggersi dal Coronavirus

Un contributo si sofferma sui tanti dubbi che riguardano l’utilizzo nei luoghi di lavoro di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale. I dispositivi, le misure di sanitizzazione e la certificazione. 

A più di due mesi dal primo decreto legge in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 (DL n.6 23 febbraio 2020), a più di tre mesi dalla la delibera del Consiglio dei ministri (31 gennaio 2020) con la quale è stato dichiarato lo stato di emergenza sul territorio nazionale, non si sono ancora risolti i mille problemi, i mille dubbi correlati all’uso delle mascherine chirurgiche e dei dispositivi di protezione individuale delle vie respiratorie.

La pandemia da coronavirus ha scatenato una nuova corsa all’oro: quella alle mascherine. Fino a poche settimane fa le mascherine erano un semplice strumento di lavoro, previste in un limitato numero di attività professionali e, in alcuni casi, osteggiate dai lavoratori quando venivano imposte a tutela della loro salute. Ora sono letteralmente sulla bocca di tutti (o quasi) e sono state oggetto di svariate notizie. Abbiamo visto rappresentanti istituzionali e tecnici indossarle in maniera errata, sappiamo di gente che le riutilizza per giorni senza considerare che molte tipologie sono monouso, leggiamo di metodi casalinghi per sanitizzarle e di persone senza scrupolo che le rubano per poi rivenderle. Abbiamo assistito addirittura a Stati che hanno bloccato o vietato la vendita di mascherine ad altre nazioni. Tante notizie ma anche tanta confusione e disinformazione in materia, così abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza basandoci sulle competenze di chi lavora nel campo della salute e sicurezza sul lavoro.

Mascherine o Dispositivi di Protezione Individuali?
Il primo chiarimento va dato in merito alla differenza tra le mascherine e i dispositivi di protezione individuali (DPI). Le mascherine sono quelle “da chirurgo”, solitamente monouso, che fungono da barriera fisica abbastanza limitata e più che altro fanno in modo che chi le indossa eviti di emettere particelle di saliva o starnuto all’esterno. In sostanza, proteggono gli altri più che il proprio utilizzatore.

I DPI sono invece dei veri e propri strumenti di protezione per chi li indossa, e ce ne sono di tantissimi tipi, distinti sulla base del loro potere filtrante. In questi giorni si sente molto parlare delle tipologie FFP1, FFP2 e FFP3: si tratta di una certificazione riconosciuta a livello europeo per classificare le maschere in base al loro potere protettivo e, semplificando, possiamo dire che le FFP1 filtrano circa il 78% delle particelle di polveri, fumo e aerosol esterno mentre le FFP2 filtrano circa il 92-95%. Le FFP3 hanno un potere filtrante maggiore, quasi del 100%.

FFP sta per “filtering face piece” e le tipologie 2 e 3 sono considerate le più efficaci nel contrasto al coronavirus. È bene però verificare se quelle acquistate o in proprio possesso sono considerate monouso (garantite cioè per 8 ore di attività continua) oppure se possono essere utilizzate più volte fino a esaurimento del potere filtrante. Le indicazioni si trovano sulle schede tecniche delle maschere e nelle informazioni presenti sulla confezione. Se vengono riportate le lettere “MN” significa che sono monouso. C’è anche un altro aspetto da considerare: alcune di queste mascherine presentano un filtro che ha la funzione di permettere una migliore respirazione dell’utilizzatore. Questo filtro però riduce il contenimento delle particelle emesse dall’utilizzatore per cui protegge maggiormente chi utilizza la maschera rispetto agli esterni.

In sintesi: se tutti usassimo le mascherine chirurgiche limiteremmo notevolmente il rischio di contagio, tecnicamente però le migliori sono quelle classificate FFP2 e FFP3 senza filtro perchè garantiscono una efficace protezione sia per l’utilizzatore che per gli esterni. Negli Stati Uniti viene utilizzano un sistema diverso di classificazione: il NIOSH, che presenta dieci categorie diverse. In questo caso la corrispondenza con il sistema europeo si può semplificare considerando che una maschera classificata NIOSH N95 è paragonabile ad una FFP2 dato che ha un potere filtrante del 95%.

Misure di sanitizzazione
Esistono misure di sanitizzazione dei suddetti DPI ma sono tecniche che devono essere compiute da personale formato e per essere valide deve essere rilasciata una certificazione che confermi la corretta esecuzione dell’attività. In sostanza possono farlo solo alcuni soggetti professionalmente autorizzati. Metodi casalinghi basati sull’uso di alcol non sono verificabili né certificabili per cui non si possono considerare efficaci.

Mascherine non certificate CE e Decreto “Cura Italia”
In questo momento di emergenza lo Stato italiano ha emanato il DL n.18 del 17 marzo 2020 - meglio conosciuto come decreto “Cura Italia” - che, tra le varie disposizioni, consente ai datori di lavoro di fornire al personale anche le mascherine chirurgiche prive di marchio CE, facendole di fatto rientrare nell’elenco dei DPI utilizzabili per lavorare. Ad oggi tale disposizione, in linea con la Raccomandazione UE n° 2020/403 della Commissione Europa, è valida fino al termine dello stato di emergenza fissato dal Governo italiano al 31 luglio 2020. È però compito del datore di lavoro chiedere ai fornitori di mascherine o altri DPI non certificati la dimostrazione oggettiva dell’applicazione da parte loro dell’art. 15 del decreto “Cura Italia”. Tale articolo consente infatti di produrre, importare e immettere in commercio mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuali in deroga alle vigenti disposizioni, se i produttori hanno inviato all’Istituto Superiore di Sanità (per le mascherine chirurgiche) o all’INAIL (per i DPI) un’autocertificazione nella quale attestano le caratteristiche tecniche degli articoli e il rispetto dei requisiti di sicurezza. In aggiunta, dopo il terzo giorno dall’invio dell’autocertificazione, i produttori devono aver trasmesso ai competenti istituti ogni elemento utile alla validazione delle mascherine o dei DPI e possono cominciare la distribuzione e vendita solo a seguito dell’esito della valutazione circa la rispondenza alle normative vigenti, effettuata dall’istituto competente.

Ma quando vanno usate le mascherine?
Innanzitutto è bene ricordare che lo scorso 14 marzo i sindacati e il Governo hanno stabilito il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, in cui sono indicate tutte le disposizioni che le aziende (quelle autorizzate a continuare l’attività lavorativa) devono rispettare pena l’arresto immediato dell’attività. Tra le misure più importanti c’è quella di rispettare la distanza di sicurezza, vale a dire che ogni lavoratore deve rimanere distante almeno 1 metro da ogni altro collega per tutta la durata dell’attività lavorativa. Se tale distanza viene rispettata non è obbligatorio dotare i lavoratori di mascherine o DPI. Al contrario, se tale distanza non può essere garantita i lavoratori possono lavorare solo se viene loro fornito un’idonea maschera. Di recente il protocollo è stato aggiornato e integrato in vista della “fase 2” che è partita il 4 maggio e che riguarda l’avvio di un maggior numero di attività produttive.

Le novità introdotte in merito all’uso delle mascherine sono:
  • il fatto che viene dato mandato alle singole aziende di stabilire l’uso dei dispositivi di protezione individuale da adottare sulla base della specifica valutazione dei rischi;
  • l’uso delle mascherine nei casi in cui i lavoratori condividano spazi comuni. Tutto questo se il mercato lo consente, infatti, nella premessa del relativo paragrafo si legge che l’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuali (...) è evidentemente legata alla disponibilità in commercio.
Fuori dall’ambiente lavorativo alcune Regioni, ad esempio Lombardia e Toscana, hanno imposto l’uso delle mascherine a tutte le persone che per motivi di necessità escono da casa ed è probabile che anche altri governi regionali faranno lo stesso. A parte questi territori e al di là dei “luoghi chiusi accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza” ( DPCM 26 aprile 2020), non c’è obbligo di usare la mascherina a meno che non si è tra le persone contagiate dal coronavirus”

È bene segnalare che le suddette disposizioni potrebbero essere soggette a cambiamenti nelle prossime settimane. Proprio in questi giorni l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sta valutando un nuovo studio del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston secondo cui le goccioline emesse con un colpo di tosse o uno starnuto possono volare nell’aria per distanze ben più ampie di un metro. Se lo studio verrà confermato potrebbero essere riviste a livello mondiale le raccomandazioni sull’uso delle mascherine.

Conviene perciò rimanere aggiornati sugli sviluppi consultando sempre organi d’informazione autorevoli e facendo attenzione a non incappare in una delle tante fake news che circolano in questi giorni.

Fonte: Puntosicuro
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