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SENTENZE COMMENTATE: SULLA MANCATA FORMAZIONE DEI LAVORATORI

Le conseguenze della formazione tardiva o apparente: sentenze recenti

La rilevanza giuridica (e la sottovalutazione) dei tempi della formazione: la durata dell’obbligo, i ritardi, le scadenze ignorate, i corsi mai erogati e le attestazioni “a posteriori” nelle sentenze di Cassazione del 2020.

Una interessante sentenza di questo mese (Cassazione Penale, Sez.IV, 1 ottobre 2020 n.27242) si è pronunciata sulle responsabilità del Presidente di una cooperativa per un infortunio mortale occorso ad un socio lavoratore addetto all’abbattimento degli alberi.
Tale decesso è stato causato, secondo quanto accertato, da carenze nella valutazione dei rischi e dalla mancata formazione.
In particolare, il lavoratore deceduto, “nonostante avesse una lunga esperienza lavorativa, non era stato avvisato e formato circa la necessità di allontanarsi dalla zona del taglio quando il collega procedeva a tirare con il verricello la pianta, ma si fermava sul posto, per ultimare il taglio nel momento in cui la pianta si trovava adeguatamente tirata verso il semovente.”
Il figlio della vittima ha “spiegato che il padre non si allontanava dalla pianta quando iniziava a tirarla con il cavo, ma ha precisato che si allontanava solo nella fase finale del taglio, ovvero quando la pianta stava ormai per cadere”.
Detto “in altre parole”, il lavoratore “non aveva ricevuto alcuna istruzione e formazione sul punto e aveva adottato una tecnica operativa rischiosa che l’azienda per cui lavorava non aveva curato in alcun modo di modificare.”
La Cassazione conferma la condanna del Presidente della Cooperativa richiamando il “consolidato orientamento di questa Corte di legittimità che individua nell’obbligo di fornire adeguata formazione ai lavoratori, uno dei principali [obblighi] gravanti sul datore di lavoro, ed in generale sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro.”

La durata dell’obbligo di formazione del datore di lavoro/dirigente e del corrispondente reato omissivo, i quali possono protrarsi anche per anni
In questa recente sentenza del 1° ottobre la Cassazione ribadisce ancora una volta che “la violazione degli obblighi inerenti la formazione e l’informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l’incolumità dei lavoratori permane nel tempo e l’obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta formazione impartita o della cessazione del rapporto (cfr. in tal senso Sez.3, n.26271 del 7/5/2019, Roscio, Rv.276043)”.
Viene qui richiamato dalla Corte un importante precedente giurisprudenziale dell’anno scorso ( Cassazione Penale, Sez.III, n.26271/2019) che aveva collegato il concetto di “reato permanente” a quello, a monte, di “obbligo di durata”, affermando che “gli obblighi inerenti l’informazione e la formazione del lavoratore sono da ritenersi di durata poiché il pericolo per l’incolumità del lavoratore permane nel tempo, e continua in capo al datore di lavoro l’obbligo all’informazione e alla corretta formazione.”
Già in tempi più risalenti, inoltre, la Suprema Corte (in Cassazione Penale, Sez.III, 14 dicembre 2011 n.46340) aveva avuto modo di precisare, più in generale, che “le violazioni della normativa in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene nei luoghi di lavoro hanno natura di reato permanente e la situazione antigiuridica si protrae e persiste fino a quando il responsabile non ha provveduto ad adottare le prescritte misure cautelari, ovvero, in difetto, fino a quando il giudice non si sarà pronunciato con sentenza di condanna anche se non passata in giudicato (cfr. ex multis Cass. sez.3, 2.7.1994 n.7530; Cass.sez.3, 11.1.1999 n.215; Cass. sez.3 n.21808 del 18.4.2007).”
Per un esempio concreto di applicazione del concetto di permanenza del reato, nel caso di specie trattato da questa pronuncia, si osservi che “le violazioni indicate nell’imputazione, accertate in data 14.4.2004, non erano state, nonostante le prescrizioni impartite, eliminate (come si accertava nel successivo controllo del gennaio 2005). Non risultando che successivamente sia cessata la condotta violatrice della normativa (non è stato neppure dedotto), la cessazione della permanenza deve ritenersi avvenuta soltanto con la emissione della sentenza (16.11.2009).”

Il superamento delle scadenze: la violazione dell’obbligo di aggiornamento quinquennale (ancora più rilevante a fronte dell’assegnazione a mansioni diverse) ed il mancato rispetto anche del termine imposto dall’organo di vigilanza per l’ottemperanza
In una sentenza di un mese fa (Cassazione Penale, Sez. Fer., 28 settembre 2020 n.26813) è stato condannato un datore di lavoro per non aver assicurato il dovuto aggiornamento formativo ad una lavoratrice esposta a rilevanti rischi.
Nello specifico, “in sede ispettiva, veniva accertato in particolare che la P.D., assunta con le mansioni di addetta al magazzino e carrellista, non aveva ricevuto un’adeguata formazione, risalendo al 2008 l’attestato di formazione ad essa relativo.”
La Cassazione ricorda così che “l’obbligo di aggiornamento formativo (parametrato in 5 anni dall’accordo del 21 dicembre 2011 […]) era stato dunque violato, per cui legittimamente è stata ritenuta ravvisabile la violazione sanzionata dagli art.37 comma 1 e 55 comma 5 lett.C) del d.lgs.n.81 del 2008, dovendosi solo aggiungere che l’assegnazione di mansioni diverse alla dipendente P.D., lungi dall’avere natura esimente, rendeva in realtà ancor più stringente l’esigenza di assicurare alla stessa un’attenta formazione sui rischi connessi all’attività svolta.”
Ricostruendo più nel dettaglio i “tempi” della vicenda, la sentenza precisa che l’ASL “con verbale del 30 gennaio 2015, notificato all’interessato in pari data, ha tra l’altro impartito al datore di lavoro la prescrizione di garantire, nei successivi 10 giorni, alla dipendente P.D. una formazione adeguata rispetto alle mansioni svolte o da svolgere”.
Nonostante ciò “l’attività formativa è stata assicurata alla dipendente solo nel maggio 2015 (oltre quindi il termine di 10 giorni fissato dal personale dell’Asl) e, soprattutto, la difesa non ha dimostrato l’avvenuto versamento della sanzione amministrativa”.

L’attestazione di partecipazione al corso di formazione fatta sottoscrivere al lavoratore in data successiva all’infortunio mentre si trovava ricoverato in ospedale
Una interessante sentenza di qualche mese fa ( Cassazione Penale, Sez.III, 7 maggio 2020 n.13918) si è pronunciata sulle responsabilità connesse ad un infortunio “avvenuto in occasione del trasporto di un silos sull’autocarro condotto dalla persona offesa, al cui pianale era stato assicurato con alcune cinghie; poiché una di queste era stata mal posizionata e doveva essere recuperata, il conducente era salito sul pianale del camion, indossando le scarpe antinfortunistiche in dotazione, aveva afferrato la cinghia con la mano sinistra, reggendosi con quella destra a una traversa del silos, perdendo la presa, era caduto a terra da una altezza modesta, a poco più di metro, procurandosi la rottura della tibia a causa del fatto che un piede era rimasto incastrato tra il pianale del veicolo e il basamento del silos”. La Corte ha “escluso che la condotta dell’infortunato possa essere ritenuta abnorme o esulante dalla sue mansioni, essendo, anzi, prevedibile”.
E’ emerso, poi, che “il lavoratore non aveva frequentato alcun corso di formazione o di sicurezza, in quanto il personale della ASL di P. non aveva rinvenuto alcun documento attestante l’avvenuta formazione e quello apparentemente sottoscritto il 9 marzo 2013 era, in realtà, stato fatto sottoscrivere al lavoratore dopo l’infortunio, mentre si trovava ricoverato in ospedale”.
Infatti, con riferimento alle “dichiarazioni della persona offesa”, la Corte sottolinea che “non vi sono ragioni di sorta per ritenere falso quanto dallo stesso dichiarato (a proposito della sottoscrizione della attestazione di partecipazione al corso di formazione in data successiva all’infortunio, addirittura mentre si trovava ricoverato in ospedale dopo la caduta)”.
Le dichiarazioni di avvenuta formazione fatte sottoscrivere ai lavoratori dopo l’infortunio e ritenute dalla Corte non attendibili
Concludiamo questa breve rassegna, condotta come sempre senza pretese di esaustività, con un breve cenno a Cassazione Penale, Sez.IV, 24 gennaio 2020 n.2859, avente ad oggetto la contestazione mossa ad un datore di lavoro (poi assolto per intervenuta prescrizione) di “non avere provveduto a impartire al dipendente una adeguata formazione specifica contro i rischi derivanti dal camminamento sulla sommità di strutture coperte da pannelli solari e in particolare per avere violato la disciplina antinfortunistica sui lavori da eseguirsi in altezza”, provocando così una lesione da taglio ad una gamba ad un lavoratore impegnato in attività di manutenzione di un impianto fotovoltaico posto sulla sommità di un’azienda.
Occorre premettere che “il giudice distrettuale, dopo avere proceduto alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, perveniva ad un diverso giudizio di attendibilità dei due testi (M.M. persona offesa e B.) impegnati in quota ad opere di manutenzione dei moduli fotovoltaici, escludendo al contempo rilievo esimente per il datore di lavoro alle dichiarazioni da queste sottoscritte in epoca di molto anteriore alla data dell’infortunio, con le quali i suddetti dichiaravano di essere stati resi edotti sulle modalità di esecuzione degli interventi in quota nel rispetto della disciplina di riferimento, in quanto fatte sottoscrivere in epoca successiva all’infortunio e comunque alla stregua delle dichiarazioni testimoniali di altro dipendente G., il quale aveva riconosciuto il camminamento sulle manette di congiunzione dei singoli moduli quale ordinaria prassi lavorativa, tollerata dall’azienda al fine di risparmiare tempo nelle attività di installazione e di manutenzione dei moduli e alla assoluta carenza di formazione delle maestranze”.
Secondo la Suprema Corte, “a nulla rileva poi che nelle dichiarazioni sottoscritte dal lavoratore quest’ultimo riconosceva di aver ricevuto una sufficiente informazione sui rischi della lavorazione e sulle modalità di svolgimento della prestazione secondo le direttive aziendali, in quanto il giudice di appello ha evidenziato come il datore, pure avendo ottenuto una sorta di liberatoria dai propri dipendenti, di fatto aveva eluso gli obblighi sullo stesso incombenti sul luogo di lavoro, che non si arrestavano alla acquisizione e alla fornitura dei presidi” ma “imponevano di richiedere l’osservanza della utilizzazione dei suddetti dispositivi, poiché il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle dopo avere somministrato al lavoratore una adeguata formazione”.

Fonte: Puntosicuro
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